Silvio Rapaglià

Qualche anno fa, forse 30, mi sono accorto che “fare vedere bene” non  voleva dire portare il fuoco sulla retina con delle lenti più o meno “giuste”, ma che le lenti, “queste sconosciute”, cambiavano anche il modo di percepire le distanze, o ancora di spostare l’immagine che si osservava, e che questo effetto percettivo non seguiva sempre le regole delle leggi dell’ottica, e nemmeno quelle della percezione, ma che tutto era profondamente integrato con quelle che erano state le esperienze motorie, psichiche e comportamentali della persona.

Mi resi conto che tutte le lenti prescritte in realtà fino a quel momento, le avevo pensate su concetti che erano davvero poca cosa, rispetto alla scienza della visione, che, piano piano, stavo imparando a conoscere, e che cominciavo a fare mia.

Con tempo (in circa 10 anni) scrissi un percorso di apprendimento visivo di 50 settimane, composto da 5 procedure per settimana per un totale di 250 esperienze neuro-sensoriali con 10 livelli per ognuna, per un totale di circa 2500 differenti stimolazioni, percorso che diventò di mia proprietà intellettuale. In seguito, si aggiunse un percorso uditivo con l’acronimo MAPS (Modular Audio Phonology System), e i due metodi, propositi insieme, diventarono una vera e propria stimolazione multisensoriale, visiva-uditiva-motoria, depositata con la sigla PNEV (Psychological Neuro Endoacustic Vision).

Nel frattempo, collaboravo con l’università di Torino, dove aprì uno dei primi centri di Educazione Visiva Optometrica e dove cominciai a fare le mie prime esperienze come docente universitario e docente nei primi master in Visione e Postura.

Formatore nei metodi PNEV e MAPS, giravo (prima del Covid) l’Italia per portare avanti la filosofia del processo di apprendimento teorizzata con PNEV.

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